L’altro giorno ho usato lo strizzainsalata, o come diamine si chiama quella ciotola doppia con coperchio che gira e permette di asciugare l’insalata appena lavata.
Nell’esatto istante in cui ho girato la manopola sono stata catapultata in un vortice di ricordi che partono dall’infanzia e arrivano a una coppia, la mia.
La cucina era gialla, un bel giallo pieno: non tuorlo, ma nemmeno canarino, solo giallo come ti immagini il giallo quando pensi a quel colore. La mia cucina di Roma era così, e in quella cucina ricordo mia madre, con le mani scomparse nel lavandino, mentre io la guardo seduta al tavolo poco distante, che all’improvviso comincia a roteare la manopola dello strizzainsalata con potenza, come fosse una delle operazioni più faticose che si potessero fare in cucina.
Quel rumore “vrvrvrvvrvvvvvv” che parte veloce e noioso e poi si lascia andare come un bel sospiro di sollievo è per me un rumore che ha il suono dell’infanzia, dei piccoli pranzi noi tre – io e i miei – una piccola famiglia compatta, in una casa molto grande. E lo strizzainsalata mi ha accompagnato sempre, perché la mia mamma l’ha sempre lavata benissimo la verdura: “È meglio se la ciotola è bianca, così puoi controllare se c’è ancora qualche rimasuglio di terra”.
Non c’era mai. Mia madre mangia la verdura solo se pulitissima e così mi ha un po’ attaccato questa fissa, tanto che uno dei primi oggetti che comprai all’inizio della mia convivenza con Gianluca è stato proprio uno strizzainsalta, piccolo, per due persone.
L’ho usato parecchio, poi sono arrivate le gravidanze e l’insalata l’ho evitata un bel po’ per non incappare in qualche rischio: solo verdure surgelate e passa la paura.
Ma ora, che mi capita spesso di fare l’insalata per un po’ più di persone, anche a lavoro, ho ripreso un bello strizzainsalata, con la manopola da girare, e ho sentito di nuovo quel suono: ho rivisto mia mamma nella cucina gialla e mio papà che apparecchia sul tavolo in legno chiaro che non c’è più, che si allungava tanto se volevi, se toglievi i fermi, che a me sembravano un microfono e così li toglievo anche solo per mettermi a cantare. Al ritmo dello stizzainsalata.
E poi mi sono chiesta: chissà quali suoni arrivano dalle vostre cucine?
Uno dei rumori che mi genera più ricordi è quello del coperchio di ceramica, che chiudeva la terrina dove nonna cuoceva il purè per il pranzo della domenica. Un suono sordo e inconfondibile che significava solo una cosa: è pronto.
Quel rumore era anche un deterrente, nessuno poteva infilare un dito nel purè senza essere scoperto 🙂
Che bello questo ricordo!
Grazie per essere passata di qui.
Sorrido… i suoni hanno lo stesso potere degli odori, altro che madeleines di Proust…
Amo quando i ricordi si intrecciano con le parole di oggi, accolte nella nostra cucina, quando la mente vola indietro e tutto torna vivo, in un attimo…